Viaggia. Vivi. Dona.
Negli ultimi tempi ho smesso di crearmi aspettative.
Ho smesso di pensare a cosa succederà, ho smesso di pensare al ‘chissà come sarà’ perché in qualsiasi caso, in qualsiasi modo, in qualsiasi situazione sarà sempre un successo. Perché ho fatto esperienza. Perché sono uscita dalla mia camera, dalle mie mura, dalle solite cose che conosco e che caratterizzano la mia quotidianità.
Sono partita per Milano un pomeriggio di metà settimana. La capitale che lasciavo era cupa, grigia, fresca. La cittadina urbana, invece, m’ha accolta calda, chiassosa, colorata come non me la ricordavo.
Non sono le persone che fanno i viaggi ma sono i viaggi che fanno le persone, niente di più vero.
Arrivo al Duomo, immenso, altissimo, l’ho ritrovato quasi cresciuto rispetto gli anni scorsi o sono io ad esser cresciuta? In qualsiasi caso, sono le 17 del mercoledì, attendo i miei cugini, è il caso di farmi un prosecco- penso- e punto al bar sul fianco del Duomo. 14 euro per un prosecco e un caffè, tutto regolare, penso, nu te lamentà Eleonò, perché non sei andata al Mac Donald per il caffè? O da un bangladino?
Il Mac Donald non mi piace e un bangladino in zona Duomo non l’ho trovato.
Vabbè. Sarà forse il caso di pensare ai soldi? No. Sono solo carta. Carta che ti permette, però, di far ciò di cui hai bisogno. Carta che ti permette di fare tanto, a volte troppo o a volte troppo poco.
Una bellissima mostra de l’Espresso mi attende, il Palazzo Ducale si presenta curato, pulito, accogliente e la mostra è all’altezza del suo nome. Giornali in ogni dove. Ritagli. Video. Foto. Foto e ancora foto.
Io amo questa vita fatta di cultura perché solo così posso crescere e maturare.
Raggiungo insieme ai miei cugini, cittadini milanesi da ormai diversi anni, la loro casa, poco fuori Milano, un posto carino, tranquillo, direi quasi fatato: nessun rumore, clacson, abbaglianti, gente che strilla.
La notte volerà veloce e un nuovo giorno mi ricorderà i miei impegni, alle 6 esatte del mattino seguente.
Mi dirigo da Blogo, in redazione a Milano, ragion per cui sono qui: arrivo in largo anticipo, ho tempo di consumare la colazione, bere un caffè, rollare una sigaretta, mandare un paio di sms. Salgo in redazione alle 09.09 in punto, mi presentano, si incuriosiscono, vogliono conoscere la mia tesi di laurea, cosa scriverò, perché sono lì. Mi coinvolgono nelle loro attività, questo è importante, lo apprezzo. Seguo le riunioni, mi spiegano l’ordine del giorno, qualche lezione di marketing, qualche battuta da qualche redattore ed arriva subito l’ora di pranzo. Mi dirigo ad un ristorante insieme ad un collega, ci ritroviamo a pranzare accanto ad un altro tavolo importante: giornalisti di LA7. La cosa non mi sorprende, la cosa non mi crea entusiasmo. Embè?
Il pomeriggio scorre tra altre lezioni, battute e riunioni. Alle 17 stacco, saluto tutti, scambio un paio di contatti e mi dirigo all’uscita. Troverò un parco lì vicino, perfetto per fumare- penso- mi adagio sull’erbetta fresca e rollo una fumosa. Sono in attesa d’una amica, un’amica speciale, una di quelle persone che, purtroppo, rivedi ogni tot anni e vorresti rivedere sempre. Fatima, il suo nome, come la Madonna di Fatima. Benedetta dal Signore. Benedetto quel viaggio che feci anni fa e che ci fece incontrare. Benedetta sia la tua amicizia e ciò che mi dai.
Ci abbracciamo, cadiamo per terra, ridiamo come matte, le persone ci guardano, ci amiamo, embè? Cosa c’è di così strano?
Andiamo al Duomo, giriamo, conosciamo, ridiamo, ricordiamo e ridiamo di nuovo, come non facevo da tempo, come non facevamo da anni.
Aperitivo, del resto sei nella capitale milanese, che fai, alle 18, non te lo fai un ape? Eccccccerto.
Incontriamo un’amica, Valentina, lei scende durante l’estate in Salento, ha saputo che sono a Milano ed ha fatto di tutto per salutarmi. Si presenta al bar, ci salutiamo, mi abbraccia, mi porge un regalo, perché? Cosa ho fatto per meritarlo?
La presenza- dicono- basti. Sorrido. Serena e felice come non mai.
Ridiamo su tanti strani personaggi che passano per il corso. Ridiamo su strane gonne, scarpe e atteggiamenti di inglesi e tedeschi.
Americani che, seduti al tavolo accanto al nostro, ordinano una pizza, portandosi l’acqua dall’hotel. Che strani, penso. Un italiano l’avrebbe mai fatto? Io no. Ma non faccio testo.
Perdiamo il primo treno, prenderemo quello delle 21 per raggiungere il paese di Fatima, un’ora scarsa da Milano. Un’ora che volerà, un’ora che neanche apparirà.
Arriviamo da lei, Erba, il nome della cittadina, rido ancora una volta, quante cose sto imparando? La sua famiglia, numerosa, ci accoglierà in casa, alle 22.30 ceniamo, sua madre ha preparato così tante pietanze, anche marocchine che, non si sapeva cosa assaggiare per primo. Cuscus, pollo alla piastra, patatine, insalata, salsa al limone, acqua, fanta, succo, frutta, dolci, caffè e ancora, ancora, ancora cibo.
Vogliono farmi ingrassare- penso- mi vedono deperita. Del resto, non è assenza d’appetito è ‘troppe cose da fare a Roma e dimentico di pranzare’.
Tre sorelle, un fratello. Mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se non fossi nata figlia unica, se non fossi stata sola. Eppure, deduco, soli non ci si sente mai con una madre presente come la mia. La vita a volte toglie. A volte dà. Non mi è andata, poi, così male, penso ancora una volta.
Riunisco le sue sorelle piccole e le trascino con noi ad una birreria, dicono che sia la più famosa di tutta la Brianza, ci vuole poco per convincermi e difatti arriveremo da lì a poco. Un luogo, lì vicino, ci incuriosisce, dicono che facciano Hard Rock, entriamo: capelloni, giubbini e gilet in pelle, pantaloni in lattice, bandane e occhi che guardano. Andiamo via, amica mia? Scappiamo. Io, lei e le sue due sorelle. La birreria, sarà sicuramente il posto più adatto.
Anche qui, gente strana. Gente strana in ogni dove.
Magari sono io, la prima strana, ma questo passa in secondo piano.
La serata scivolerà così: risate, insulti tra sorelle, riflessioni e proposte editoriali per il blog. Fatima, la mia amica, è una donna dalle mille sfaccettature.
La notte ci cullerà, io assonnata, Fatima vogliosa di racconti. Parliamo, ci aggiorniamo, aggiungiamo dettagli, cose sfuggite e cose lontane… ben presto però suonerà la sveglia del mattino dopo.
Nuovo giorno. Nuovo inizio: dove si va? Destinazione COMO!
Giro in battello, fotografie, spruzzi, risate, fame, voglie di caffè, voglie di visite.
Entriamo al Duomo di Como, all’entrata i vari cestini per le offerte accompagnati da scritte ‘DONAZIONE 1 EURO’.
Lì, mi parte il tic all’occhio. Donazione- donare- libera scelta. Ed invece no, qui impongono un euro, ma che cazz vuol dì? Tanto vale scrivere ‘TICKET 1EURO’. Non ti do nemmeno quello.
Giriamo per il Duomo, bello, fantastico, oro ovunque, statue, insomma: avranno mica bisogno del mio euro? Non credo.
All’uscita, il sagrestano ripuliva i cestini delle offerte, esclamo verso Fatima:
<< Amica mia, bello, sì, sfarzoso, ma è tutto un magna-magna>>.
Il sagrestano, ascolta, infastidito:
<< Dov’è tutto un magna-magna? Ma vai in Sicilia>>.
Mi giro dal suo lato, lo guardo, ma dov’è finita la vostra filosofia di pensiero del porgere l’altra guancia?
<< Perché in Sicilia?>>
Non mi risponde, termino con un VAFFANCULO, con classe, me ne esco dalla Cattedrale. Andate a cagare- penso- Predicate bene, fate altro. De che stamo a parlà? A proposito di parole, bastano già i vostri sermoni- inutili- aggiungerei.
Torniamo verso la stazione dei treni. Mi chiama un amico di Como, mi raggiunge sul binario, trenta secondi di abbracci, baci, una nuova promessa, il treno fischia, scappiamo via.
Le risate con Fatima non mancano mai, in treno, tra un commento e una riflessione lei ride così forte da sputare dell’acqua che stava bevendo, una ragazza afro accanto noi ride con(di) noi, denti bianchissimi, capelli grossi e lunghi, che spettacolo, penso, quanto sono belle.
Arriviamo a Milano, è ora di pranzo, mi raggiunge un mio autore, una di quelle persone che mi appartengono, mi conoscono, mi ascoltano e mi cazziano, come uso dire io. Una di quelle persone che, ti guarda e t’ha già definito. Ti guarda ed ha già capito. Dovrebbero esisterne di più. Il mondo sarebbe più facile, se ci fossero tanti Vittorio, perché è così che si chiama.
A pranzo, tra il problema di salute e le intolleranze, la scelta è sempre la solita: carne e verdure, vabbè, poteva andarmi peggio- penso- e mangio.
Ridiamo, ricordiamo e raccontiamo: io, Vittorio, Fatima. Ad un qualsiasi ristorante della stazione centrale di Milano, il tempo si ferma, anzi no, scorre troppo in fretta e dopo vari abbracci sono di nuovo in partenza per la mia capitale. La mia città. Roma, così immensa, calda, rumorosa, trafficata, speciale. Speciale perché lo è. Speciale perché è l’unica città in grado di farmi sentire a mio agio in mezzo a milioni di persone.
Le persone, che fattore straordinario della nostra vita. Ci accompagnano. Ci colorano. Ci arricchiscono. Ci avviliscono. Ci caratterizzano.
Cosa saremmo senza rapporti umani? Cosa saremmo senza l’altro?
Nulla. Che esistenza triste, no?
Dona. Viaggia. Vivi.
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