Di quel momento, che si rivelerà poi una nuova vita, i ricordi sono indistinti e forse sofferenti.
Un anno prima che accadesse la vicenda, di cui parlerò in futuro, ho ricordo di un’afa soffocante, lo sciolinare del ventaglio di tulle con immagini floreali di Zia Roscelin: una donna alta, distinta, sempre vestita coi suoi abiti vittoriani, un’infermiera che si trovava, ai tempi, nel fulcro di una vita sfolgorante. Al suo fianco sedeva Zio Louis, suo leale compagno da sempre, testardo, saccentone, benevolo ma dall’aspetto sciatto, incurante della creazione del setolino per capelli usava disfare i riccioli, che pendevano da qualsiasi angolo del suo capo, con la mano destra e sorprendentemente con un solo tocco.
A due seggiole di distanza sedeva una bimba di quattro anni, dai riccioli bruni, dallo sguardo vago ma con ciglia lunghe, indossava una gonnella a scacchi dalle tonalità rosee, nella parte superiore una canotta in tulle bianca e penzolavano dalla sedie le piccole scarpette chiare che, si sposavano a perfezione con il suo completo. Singhiozzava a tratti, le mancava il suo cane, di razza Dalmata, di nome Pako, regalato dallo zio Louis nei giorni precedenti.
“Aspettiamo la tua mamma, torneremo a casa prima del tramonto così giocherai con il tuo cane”. Disse la zia Roscelin mentre asciugava le lacrime sul viso della bambina, con il suo fazzoletto di seta color lino sporco.
Il tempo sembrava si fosse fermato, ogni attimo sembrava uguale al precedente, il calore dell’asfalto entrava attraverso le finestre aperte e cominciò a lamentarsi anche qualcosa dentro di lei: non ricordava quand’era stata l’ultima volta che le sue piccole pupille gustative avevano assaggiato qualcosa.
La fanciulla continuava a muoversi, passava da un sedile all’altro, di tanto in tanto sedeva sulle ginocchia dello Zio Louis che, per far divertire la sua unica nipotina, le concedeva di giocare con i suoi capelli: li districava, li muoveva, li mordicchiava e li tirava, perfino, quando lo zio distraeva lo sguardo da lei.
Lui diventerà l’unico vero uomo della sua vita ma Norina non sapeva ancora cosa il futuro aveva in serbo per lei.
Diverse ore dopo, al suo risveglio, si trovò nel letto dei suoi genitori, con al fianco suo padre Rhomais immerso ancora nella braccia di Morfeo; mentre sua madre, una donna di media statura, minuta, con i capelli di una tonalità castano-oro cascanti sulle piccole ossa, dal volto pallido ma con una strana aria negli occhi che, inconsapevolmente, ritroverà negli anni a venire, preparava la cena.
Norina si trovava lì, nascosta tra il divano e il sofà ocra che, osservava la donna mescolare delle strane sostanze sul tavolo da cucina e canterellare una strana strofa di una canzone: “Marameo perché sei morto pane e vino non ti mancava, l’insalata era nell’orto, marameo perché sei morto…”
“Norina amore per quanto tempo rimarrai lì nascosta? Lo sai che i mostri non esistono!” Disse Tella voltandosi nella sua direzione. Proseguirono diversi secondi di silenzio e le uniche parole che pronunciò la piccola furono:” Ho fame mamma”!
La donna le andò incontro, la prese da terra, la appoggiò sul tavolo da cucina e le disse sottovoce:
“Finisco di preparare la pasta frolla e mangeremo in giardino io, te e Pako”.
La baciò sulla fronte e si rimise ad impastare sotto gli occhi, apparentemente disinteressati, di Cicicchia. (E’ così che la chiamavano i suoi zii, sin dalla nascita e quel nome piacque subito a Tella, tanto da usarlo come surrogato del vero nome della figlia).
Durante la cena la piccola chiese come mai mancasse il padre e Tella con una strana disinvoltura le rispose che lui era molto stanco. Niente di nuovo, pensò Norina.
Dotata di un’intelligenza disarmante, Norina percepiva tutto, sin dal principio.
Le giornate trascorrevano limpide e rapidamente: di tanto in tanto mamma Tella e papà Rhomais portavano la piccola a mare, in una località non distante dalla loro abitazione e lasciavano giocare Norina vicino la riva del mare col figliolo, suo stesso coetaneo, dei loro amici.
A fine giornata i due non volevano mai venir fuori dall’acqua e solo quando Tella fingeva di andare via, Norina correva verso la madre e voltandosi verso il suo compagno di giochi, Andria, strillava:
“Mamma è colpa sua, fa sempre giochi troppo lunghi”!
Delle risate rumorose avvolgevano l’atmosfera e così tornavano tutti insieme nella piccola pineta circostante, dove avrebbero preso il trenino che li avrebbe condotti alle loro macchine, nel parcheggio adiacente.
Quando la madre e il padre di Norina lavoravano, Cicicchia trascorreva con piacere le sue giornate afose in una bellissima casa in campagna, dagli zii Louis e Roscelin. Portava da mangiare ai gatti, giocava col cane, raccoglieva margherite con la zia nel tardo pomeriggio e aiutava, per quanto potesse, a preparare la cena.
Di tanto in tanto mescolava diversi fiori, che trovava nel giardino, con acqua di pozzo e fingeva di inventare nuovi profumi poi correva con Pako verso casa e rideva di gusto quando gli zii si complimentavano con lei per l’impasto bizzarro che otteneva.
Col trascorrere dei mesi e con l’avvenire della nuova stagione, Norina non completava un passo senza che ci fosse, alla sua destra, il suo cane: suo fedele compagno di giochi e di disavventure.
Quando arrivò il primo di Ottobre, Cicicchia affrontò il suo primo giorno dell’asilo ma, come immaginò Tella nei precedenti giorni, la piccola non aveva intenzione di mettere il piede fuori casa senza il suo cane. La madre la rincorse buona parte d’ora per tutta la casa: dalla cucina al sofà ,dal bagno al salotto e quando finalmente l’attirò a sé con la scusa che sarebbero ritornate a dormire nel letto matrimoniale, l’acciuffò per l’ascella e la alzò da terra con tale aggressività da far piangere Norina dallo spavento.
“Devi andare all’asilo Norina, non posso rimanere in casa con te, altrimenti chi lavorerà al posto mio”? disse la madre penetrandola con lo sguardo.
Tella era diventata, da pochi mesi a questa parte, socia di Marco, un ragazzo snello e perspicace, di un bar, a pochi km dal suo paese natale. La donna prese molto sul serio, da subito, il suo ruolo e non intendeva lasciarla a casa con nonna Anny, sua madre, per niente al mondo!
Una volta afferrata la portò in macchina, una 500D che risaliva al 1965, anno di nascita della donna, comprata dal padre, come auto-regalo per la nascita della sua seconda figlia, dopo Roscelin; e promise a se stesso e alla moglie che, non appena Tella avrebbe compiuto vent’anni sarebbe diventata la sua autovettura. E così accadde.
Norina, strattonata in auto, singhiozzava cercando di attirare le attenzioni della madre, ma ciò non accadde perché Tella era fermamente convinta di farla entrare nell’asilo e sarebbe ritornata a riprenderla nel primo pomeriggio.
Una volta arrivata la madre superiore, andò incontro alla donna che, cercava di convincere la figlia affinchè smettesse di piangere.
“Hai proprio dei bei riccioli, lo sai farfallina?” Disse la suora alla bambina. E poi proseguì:
“Perché non vieni a giocare lì dentro con le altre bambine? Se vorrai potrai fare amicizia!” Disse la donna, indicandole una grande stanza colorata che, appariva allegra e luminosa.
Norina tolse il viso da dentro il seno sinistro della donna, si strofinò gli occhi e la guardò:
“Ho già un amico: è il mio cane”! Disse la bambina, ma la suore insistette:
“ Quello non è un vero amico Santa figliola”
“Non è vero”! Disse La piccola con tutta la forza che avesse nelle corde vocali.
Tella le diede un pizzicotto sulla guancia e Norina capì di non avere più soluzioni: avrebbe dovuto passare la giornata in una ‘casa’ nuova, con delle persone sconosciute, senza alcun viso familiare. Agitò i piedi, la madre la posò per terra, le diede un tenero e soffice bacio sul viso e la piccola prese la mano della Madre Superiore che, per premiarla, le regalò subito una coloratissima caramella.
La giornata trascorse veloce sia per la figlia che per la madre: Tella completò più ordinazioni del solito e concluse la giornata preparando gli stuzzichini per l’aperitivo del tardo pomeriggio mentre Norina, una volta abbandonati i suoi capricci, proseguì serenamente la giornata colorando nuovi disegni, giocando insieme ad altre bambine come lei e ad rincorrersi con qualcun altro.
I mesi a seguire passarono veloci, non ci furono più giornate terribili come quella scorsa però, un pomeriggio avvenne qualcosa di insolito…
Norina comodamente seduta sul sofà ocra, modellava la pasta colorata, ad un certo punto sentì strillare il padre e subito dopo percepì uno scambio di battute tra Rhomais e la moglie che, furono subito interrotti dal singhiozzo della stessa. Tella continuava a gesticolare morbosamente, tenendo un foglio in mano e parlava con Rhomais circa delle analisi. Norina non riusciva a capire molto delle parole dei grandi e quando sentì pronunciare il termine “ospedale”, scoppiò a urlare e a piangere perché, improvvisamente, si ricordò di quel lungo pomeriggio afoso, passato in un corridoio color bianco con gli zii, ad aspettare che Tella e Rhomais uscissero da qualsiasi angolo della stanza e, nell’attesa, si addormentò.
“Te l’avevo detto di non urlare cretina!” disse il padre, alzando la mano destra contro il viso della donna. Il silenzio assorbì la stanza, seguirono diversi secondi di tensione, poi la madre si inginocchiò sul sofà, dov’era ancora adagiata Norina, l’abbracciò con tutte le sue forze e le canticchiò lentamente: ”Marameo perché sei morto…..”
La piccola pochi minuti dopo dormiva, come una piccola tartaruga in letargo, sulle braccia della donna che sperava nell’amnesia parziale della figlia, a causa dell’accaduto, ma purtroppo Norina non dimenticherà né quel pomeriggio, tanto meno altri avvenimenti ancora.
[La foto in allegato è il Pako,della realtà,un po curioso verso un riccio di campagna]