I giorni della nepente di Matteo Pascoletti

 matteo pascolettiMatteo Pascoletti fa il suo esordio nel campo letterario con il romanzo “I giorni della nepente”, decisamente fuori dagli schemi, facendosi narratore di una tragica vicenda: un episodio di violenza in una domenica di fine estate. L’assassinio di una pensionata per mano di un tossicodipendente nel tentativo di scipparla; il figlio della donna ucciderà a sua volta l’omicida. L’episodio, semplice quanto agghiacciante, è riproposto, capitolo dopo capitolo, attraverso gli occhi di vari personaggi: dall’omicida alla vittima, dal giornalista al vagabondo predicatore presenti sulla scena in quel momento.

Vite, dolori, pensieri e follie di ciascuno, accomunati dall’atroce episodio. L’autore ce li mostra con occhi diversi per dimostrare una dolorosa realtà: l’illusione della gente nel credere di essere lontana o al sicuro da simili vicende. Eppure, come dimostrato da questa nuova era digitale – la crescente globalizzazione d’informazioni e fatti – si tratta di vicende che accadono ogni giorno e alle quali possiamo essere molto vicini, e le vite narrate in questo libro diventano le nostre. E la nepente, pianta carnivora a forma d’imbuto che attira gli insetti con i suoi aromi, diventa un nuovo esempio di natura umana: l’uomo che confonde se stesso con le sue dipendenze senza accorgersi di precipitare in un abisso. L’abisso è il nostro Paese, corrotto e consumato da un sistema incapace di accontentare tutti, fatto di politica instabile, social network, economia in crisi e casi mediatici: elementi chiave riportati tra queste pagine, mentre si narra di una tragica domenica di fine estate.

Un racconto ben strutturato, interessante espediente per mostrarci la cruda realtà dei fatti della nostra era. Perché a volte abbiamo proprio bisogno di vederci sbattuti in faccia simili concetti o verità.

Come nasce I giorni della nepente?

Il romanzo prende vita da un racconto, poi diventato il capitolo dedicato al personaggio di Lorenzo, un eroinomane. Il racconto seguiva la colletta domenicale di Lorenzo per comprare la dose, fino all’epilogo fatale. Una volta terminato il racconto, m’è presa la curiosità di scrivere il tragitto compiuto in quella giornata dagli altri personaggi coinvolti. Quella curiosità si è tradotta in svariate stesure nell’arco di circa cinque anni e nel contratto con l’editore, Effequ. Anche se c’è un testo che risale nel 2009, poi usato inizialmente per costruire il personaggio di Angelo Zanelli, il giornalista, l’idea centrale di partire dal tema dell’eroina risale all’inverno 2010. Era da poco uscita un’antologia, Racconti perugini, curata da un editore locale: leggendola notai subito che la tossicodipendenza era una grande assente, fatto che venne fuori durante una delle presentazioni. L’episodio rafforzò in me la convinzione che quell’assenza dicesse qualcosa di importante, anche perché in città il fenomeno dello spaccio aveva iniziato a crescere già sul finire degli anni Novanta. Sebbene non fosse ancora diventato un tema nazionale, fino alla degenerazione grottesca del frame “capitale della droga” (con varianti grottesche tipo “Gotham city italiana”), a livello quotidiano l’occhio poteva cogliere facilmente che qualcosa non andava, se la testa non si voltava dall’altra parte. Scrivere è stato un modo per affrontare il problema, che ben presto è diventato una domanda, esondando: perché il dolore? Il romanzo è la risposta migliore che ho trovato.

A quali fatti di cronaca ti sei ispirato per la realizzazione del romanzo?

nepente_Nessuno in particolare, anche se può sembrare il contrario. Ciò che rende verosimile al lettore il circo mediatico che si scatena sull’episodio di cronaca al centro del romanzo – il tossicodipendente che tenta di scippare una pensionata, ne provoca la morte ed è sua a volta ucciso dal figlio della donna, subito celebrato come eroe-giustiziere – è il lavoro sulla lingua, in particolare nelle parti denominate #coro, che danno voce al populismo penale. Proprio perché sono partito da una realtà di contatto ho avuto bisogno di inventare il più possibile per proiettare i simboli oltre l’orizzonte d’attesa e le narrazioni di superficie che caratterizzano l’informazione spettacolarizzata. La stessa città che fa da scenario alla storia, Perugia, non è mai nominata, perché mi serviva una Tebe moderna, viva ed evocabile nella mente del lettore al di là dei toponimi.

Fa eccezione il personaggio di Carlo Sacco, attraverso cui parlo dei morti di Stato, e per il quale in parte mi sono ispirato alle storie di Aldo Bianzino e Federico Aldrovandi.

 

Interessante il personaggio del profeta proposto nell’opera, con i suoi discorsi deliranti solo in apparenza. Come nasce questo personaggio in particolare?

Il profeta lo vedo come “una forza del passato”: un Tiresia in un mondo dove il sentimento tragico – e quindi l’empatia – è represso. Nella valle dei ciechi in cui simbolicamente è ambientato il romanzo, l’uomo con un occhio solo non è Re: è lo scemo del villaggio. Non a caso tra i personaggi centrali il profeta è l’unico che non compare nel coro, né viene nominato. Inoltre mi serviva una maschera per parlare dell’iniziazione all’eroina, iniziazione che coincide con l’esperienza della morte, perché il tossicodipendente porta questo sul volto, e ogni volta che lo si guarda abbiamo a che fare col pensiero che sì, è una persona che sta seguendo un proprio desiderio fino a venirne inghiottito – come accade agli insetti catturati dalle nepente, la pianta carnivora che dà il titolo al romanzo – ma nelle sue fattezze devastate possiamo scorgere il riflesso del nostro memento mori e l’angoscia che ne deriva. Solo che di fronte all’angoscia preferiamo il divertissement, magari polemizzando su Pokémon Go perché Pikachu mette molta meno ansia di Pascal. Ho pensato che allora servisse approcciare l’iniziazione sul piano della verità rivelata, plasmando una voce che grida nel deserto; al contempo ho dato l’otto per mille alla ricerca scientifica, per ingraziarmi i lettori atei.

Cosa bolle in pentola per il futuro?

Sul lungo periodo accettare che l’umanità è destinata all’estinzione. Sul breve periodo sto affrontando questa consapevolezza scrivendo racconti (uno dei quali lo si può leggere su Nazione Indiana), lavorando almeno in prima stesura con carta e penna.

Scrivere può sembrare un modo abbastanza strano di fare i conti con la faccenda dell’estinzione, ma se ci pensi bene è molto più costruttivo e sensato del delirare sullo scontro di civiltà intanto che si aspetta il caricamento su Pornhub del video con Mia Khalifa.

 

 

Matteo Pascoletti, I giorni della nepente, 4 stelle su 5 al seguente link: http://www.effequ.it/2016/02/10/i_giorni_della_nepente/

 

 

 

 

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