Domenica mattina, un libro cattura la mia attenzione: Ok, vieni a casa con me!
“La morte viene di notte” di Johanna Mo m’ha rapito di notte tra le sue pagine pubblicate da Neri Pozza.
La protagonista è Hanna, una detective tornata nel suo paese natale dopo la morte di suo padre. Il primo giorno di lavoro inizia con il ritrovamento del cadavere di un giovane ragazzo di 13 anni: si tratta di Joel, il figlio della sua amica storica, Rebecka che non vede da più di quindici anni.
Sarà proprio Hanna a darle la triste notizia e da lì una serie di avvenimenti apparentemente scollegati tesseranno, invece, una trama molto complessa.
Fanny e gli atteggiamenti da bulla, il telefono che si spegne, l’ultimo selfie di Joel, una lama appuntita, Petri e il suo segreto, il tradimento di Rebecka, il padre di Joeal, Axel con i suoi turbamenti: gli elementi per definirlo UN BEL ROMANZO, certamente non mancano anzi Johanna Mo inserisce il tema della “sessualità” con una sensibilità che arriva dritta al punto.
Primo libro di una serie di gialli ambientata sull’isola di öland, in Svezia, La morte viene di notte, un thriller dal ritmo implacabile e dall’ambientazione suggestiva, ha segnato l’avvento sulla scena letteraria internazionale di Johanna Mo, nuova regina del romanzo criminale svedese.
Libro pubblicato da Neri Pozza, traduzione di Gabriella Diverio.
Vittorio Piccirillo, classe 1967, pubblica il suo nuovo capitolo della saga Galassie Perdute edito da Tabula Fati: “Privazione”.
Dopo le tragedie che hanno sconvolto la sua esistenza, Kendra si è prefissata un unico obiettivo: lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Cosa non facile, ma non è sola. I suoi compagni sono al suo fianco, la sostengono, la fanno sentire al sicuro. Insieme a loro sente di poter andare avanti, di essere in grado di costruire qualcosa di nuovo. Tuttavia il destino ha altri piani. Sebbene le forze misteriose che hanno tramato nell’ombra siano state sconfitte, il cupo retaggio del suo passato, che ha rifiutato ma dal quale non riesce a liberarsi, continua a tormentarla. Nel frattempo, una nuova minaccia tesse la sua tela proprio attorno a Kendra e ai compagni, in paziente attesa del momento migliore per farli cadere in trappola. Quando i tre se ne rendono conto è ormai troppo tardi. Ancora una volta la giovane è costretta a confrontarsi con il dolore e con la paura, a lottare per la sua stessa vita, ad affacciarsi pericolosamente sul baratro dell’oscurità.
Cosa risponderesti alla domanda CHI SEI?
Mi potrei definire una persona assetata di cultura in ogni sua forma e manifestazione: di arte e letteratura da un lato, di scienza e tecnologia dall’altro. La mia passione per la fantascienza deriva proprio dall’unione di queste componenti.
Come nasce la tua esperienza nella scrittura e dunque nella pubblicazione?
Scrivo fin da quando ero piccolo, in risposta al mio bisogno innato di dare forma alle storie che ho sempre immaginato, alimentate dalla lettura costante di testi di ogni genere. La pubblicazione è arrivata molto tempo dopo, quando ho avuto la fortuna di conoscere Marco Solfanelli, l’editore che mi ha dato fiducia e mi ha consentito di crescere come autore, indirizzandomi verso i giusti corsi di scrittura e mettendo i miei testi nelle mani di Silva Ganzitti, la mia insuperabile editor. Un processo che è ancora in corso e che mi auguro non finisca mai.
Perché le persone dovrebbero scegliere proprio la tua penna?
Le storie che scrivo rientrano in prevalenza nella space opera, filone della fantascienza dedicato all’epopea spaziale. Si tratta di opere ricche di azione e di avventura, che lasciano ampio margine all’intrattenimento. Tuttavia, anche se le vicende si svolgono su mondi lontani e sono piene di astronavi e di tecnologie avveniristiche, i problemi che i protagonisti devono risolvere e i dilemmi morali con cui si devono confrontare non sono così lontani dai nostri, e le soluzioni che trovano e le scelte che compiono potrebbero anche darci un’ispirazione o un’indicazione su come comportarci nella vita reale.
Come definiresti il tuo stile?
Ordinato. La mia scrittura, che è la massima espressione del mio modo di essere e di pensare, è una costante ricerca dell’armonia e del ritmo, dell’equilibrio tra la descrizione e il dialogo, tra l’azione e la riflessione.
Quali sono i progetti futuri?
La saga di Galassie Perdute è arrivata al terzo volume, ma ha ancora molto da dire, e con un po’ di fortuna proseguirà. Ci sono poi altri progetti che stanno arrivando a maturazione e che sono certo mi daranno altrettanta soddisfazione… tuttavia ho sempre ritenuto prematuro parlare di quello che è ancora in divenire. In ogni caso, mi riterrò fortunato se potrò avere qualcosa di nuovo da scrivere, ogni giorno.
Qual è il rapporto che hai con i social?
Piuttosto superficiale. Li uso per il minimo del tempo indispensabile, con poca convinzione e con scarsa motivazione. E se non fosse per Eleonora Marsella, la mia inarrestabile agente letteraria, che mi spinge a sfruttarli per accrescere la mia visibilità nel vastissimo panorama editoriale, con buona probabilità non li userei affatto.
Diandra Elettra Moscogiuri, cofondatrice della produzione cinematografica Demodami Studios LTD, si occupa dell’ideazione di lungometraggi indipendenti, nei quali partecipa anche in veste di attrice. Qui di seguito potete conoscere qualcosina sui suoi due romanzi pubblicati.
Tequila Suicide
Gideon Kelta è il ragazzo più fortunato del mondo. Ha una famiglia che lo ama, sicurezza economica, una relazione appagante con un uomo affidabile, e una vita sociale stimolante. Questo vivere nella fortuna però, non gli ha impedito di sviluppare una forte codipendenza dalle persone che ha vicino, in particolare dal suo ragazzo, Timo.
Un periodo di crisi tra i due lo porterà a scelte sbagliate, in un percorso interiore in declino, in cui affronterà aspetti del proprio essere che ignorava, fin quando la sua vita perfetta non subirà un netto cambiamento. Questo però lo porterà anche a conoscere meglio la madre e il suo migliore amico Elia, per rendersi poi conto che nulla era come sembrava.
Artemis’Cabaret
Marco è un ragazzo sveglio e intraprendente. Ha lasciato la sua città, Monza, per andare a studiare a Milano, trovando presto un impiego come tutor. Non ha mai conosciuto suo padre e mai ha sentito il bisogno di farlo, mentre sua madre, da quando era adolescente, è ricoverata in un istituto a causa di un disturbo comportamentale che nemmeno i medici riescono a comprendere. Se l’è sempre cavata da solo, ma nonostante questo, ha ricordi felici del suo passato e quando può torna a Monza e guarda da fuori la casa in cui viveva con sua madre, ormai ridotta a una catapecchia.
Ci sono due cose di cui ha bisogno: farsi dei nuovi amici, e imparare a confrontarsi con il suo sogno, quello di diventare uno scrittore. Così, un giorno, conoscerà Artemis’Cabaret, forum online dove aspiranti scrittori si confrontano sulla scrittura, e si mettono in gioco. L’incontro con queste persone, però, sconvolgerà per sempre la sua vita, e paradossalmente, porterà a galla aspetti del suo passato che credeva di poter dimenticare.
Cosa risponderesti alla domanda CHI SEI?
Che nessuno me lo chiedeva da molto tempo! A parte gli scherzi, penso che la risposta più semplice sia questa: le persone come me crescono nella convinzione di essere strane o particolari, ma col tempo ci si scontra con una rassicurante verità, ovvero quella che non c’è nessuno di più banale di una persona cresciuta in una piccola cittadina, che la lascia per realizzare i suoi sogni riuscendoci dopo mille difficoltà. Questo ci fa sentire meno unici e – grazie al cielo – anche meno soli. O forse, una risposta molto più efficace e fedele alla mia natura di attrice sarebbe questa: sono chiunque tu vuoi che io sia!
Come nasce la tua esperienza nella scrittura e dunque nella pubblicazione?
Inizia tutto negli anni ’90, con una macchina da scrivere di Barbie che mi è stata regalata non ricordo bene da chi. Da lì sono nati i miei primi racconti, e anche le prime crisi creative quando mi rendevo conto che molto di quello che creavo non aveva senso, o era ridicolo. Questa è una sensazione che provo spesso ancora oggi. Poi è arrivata la passione per il diario segreto, abitudine che non ho ancora abbandonato (un po’ mi vergogno ad ammetterlo) e le prime poesie pubblicate sul quotidiano della mia città, Manduria (altra cosa banale: ai bulli le mie poesie non piacevano). Se ve lo state chiedendo, non ho mai preso un voto alto nei temi di italiano. A diciotto anni ho iniziato ad abbozzare i miei primi romanzi, Tequila Suicide e Artemis’ Cabaret, che hanno visto la luce rispettivamente nel 2014 e nel 2019, quando mi sentivo sicura di aver dato loro il tempo di crescere e maturare insieme a me. Penso che ogni opera sia un po’ come il pane che va lasciato lievitare, perché è pensandoci a lungo, soprattutto all’inizio, che diamo alle opere l’attenzione che meritano. Magari non sarà sempre così, mi auguro di diventare un po’ più veloce. I romanzi sono stati pubblicati da una piccola casa Editrice, SensoInverso Edizioni, e tornano quest’anno con Mosaico Edizioni, con uno stile tutto nuovo, dovuto al lavoro di eccellenti professionisti che ringrazio tantissimo, Eleonora Marsella, Flavio Passi e Martina Pizzigoni in particolare.
Perché le persone dovrebbero scegliere proprio la tua penna?
La mia penna può essere spinta, remissiva, provocatoria, pungente, amara, flebile, scorrevole, sveglia, matura, immatura, sintetica, sardonica, famelica, riflessiva, solitaria. Può respingerti, può accoglierti. Può farti venire voglia di saltare la pagina perché entra troppo in angoli della mente che non vorresti esplorare, come potrebbe farti venire voglia di leggere con attenzione quella stessa pagina perché vuoi sapere se ho davvero avuto il coraggio di descrivere proprio quello, e di farlo proprio così. Io sono qui, e se ti va, puoi raggiungermi.
Come definiresti il tuo stile?
Senza dubbio, in divenire. Nel tempo, cimentandomi anche nella scrittura di sceneggiature, sto imparando quanto sia potente la forza delle parole, e quanti sapori diversi possano avere se accostate alle altre che scegliamo. Proprio come quando si recita, il processo della scrittura creativa parte da una profonda analisi dell’umano, che si tratti di noi stessi o della sfaccettatura dell’essere che pensiamo ci rappresenti di meno. Dentro di noi riusciamo a carpire ognuna di queste sfaccettature, a farla nostra, e infine a raccontarla. Il romanzo e la sceneggiatura, per esempio, mi sono sempre sembrate due forme di scrittura completamente diverse, ma imparando dalle mie recenti esperienze ho capito che non è necessariamente così.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Parlando di romanzi, sto lavorando a un nuovo libro. Ho deciso di provare a mettere da parte il genere di formazione per cimentarmi in qualcosa di completamente nuovo: un giallo ambientato nel futuro, che avrà come temi principali l’essere genitore, l’affrontare i propri demoni, e le conseguenze dei danni all’ecosistema. Come dicevo, si può scrivere di se stessi anche indossando panni completamente inaspettati. Per quanto riguarda il cinema, in quanto produttrice, attrice e sceneggiatrice di Demodami Studios, produzione cinematografica indipendente che ho fondato con il regista e sceneggiatore David Milesi, posso dire che abbiamo ben due progetti che non vediamo l’ora di poter condividere col mondo: il primo è Dead Star, un noir che abbiamo realizzato in più fasi a causa della pandemia, ma insieme al quale possiamo dire di essere cresciuti e maturati essendo il primo film firmato dalla nostra produzione, e Un bellissimo inferno, il nostro secondo lungometraggio, che abbiamo appena annunciato, al momento alla ricerca di nuovi finanziamenti.
Che rapporto hai con i social?
Per anni e anni sono stati una vera passione per me. Ho aperto la mia pagina Facebook nel 2014 e da allora ho sempre lavorato sodo per aggiornarla, in seguito mi sono dedicata molto anche a Instagram e al mio canale YouTube. Molto spesso mi viene chiesto di riprendere in mano la mia storica docuserie Tinte Noir, ma purtroppo non sento più di appartenere a quel mondo. In questo periodo ho deciso di riscoprire la passione per i social e di impegnarmi per fare delle foto nuove: purtroppo la vita dello scrittore, e non meno quella del produttore, a volte ti portano a rannicchiarti un po’ troppo dietro le quinte e trascurare quella parte di te che invece è il soggetto di quello che stai andando a creare. Sono protagonista (dividendomi sempre il podio con altri attori) di entrambe le pellicole che stiamo realizzando, eppure faccio una fatica assurda a organizzare un set per farmi qualche foto. Un vero paradosso.
Quel giorno nasce Jack, abbandonato dalla madre, cresciuto in un piccolo orfanotrofio, nessuno vuole adottarlo perché…
Il piccolo Jack ha un problema al cuore che va avanti solo grazie l’ausilio di un orologio NON proprio silenzioso. Madeleine aiuterà Jack a sopravvivere i primi anni poi entrambi intraprenderanno un viaggio a proprio modo e un uccello farà incontrare le loro comunicazioni. (..)
Jack si innamora dell’amore, il suo cuore produce dei strani suoni, le persone lo guardano, qualcuno lo tratta male ma lui non perde quasi mai la concentrazione e procede verso il suo obiettivo: ritrovare quella fanciulla che piuttosto che indossare gli occhiali da vista preferisce urtare ovunque.
Un circo o meglio… una strana attrazione vedrà Jack protagonista di uno spettacolo, Miss Acacia lo ama di notte ma sfugge di giorno e George, un’illusionista che accompagnerà Jack per tutto il percorso fino all’Andalusia ad un certo punto sparirà come tutti i maghi.
La Meccanica del Cuore di Mathias Malzieu m’ha rapito letteralmente il cuore.
Pino Cacucci, classe 1955, giornalista, scrittore e non solo; ha scritto VIVA LA VIDA un un nuovo inno alla vita di Frida Kahlo, nota artista messicana e attivista nel campo della politica e della società di quegli anni.
Nata all’inizio del 1900, a 18 anni subirà un incidente che le segnerà la vita: la lotta contro la Pelona inizierà già da quel bus.
Di libri su Frida Kahlo se ne sono scritti davvero assai: il rapporto con Diego, le sue amanti, la lotta politica, le figure attive all’interno della sua vita, la sorella Cristina, i compagni di lotte.
Questo piccolo libro è praticamente un monologo; è come se il sipario si aprisse e Frida Kahlo inizia a parlare, a narrare le sue vicende, le sue fughe amorose e le ferite invece sul cuore che le procurava Diego tutte le volte che la tradiva con qualche sua nuova musa.
Sono trascorsi sei anni dalla pandemia da H5N1v2, il virus appartenente al ceppo dell’aviaria che ha dato inizio all’apocalisse zombie causando la pressoché totale estinzione del genere umano.
Domenico, suo figlio Sebastiano e la moglie Lucrezia, scampati per il rotto della cuffia a orde di non-morti famelici, si sono rifugiati in una cascina diroccata nel folto dei boschi delle colline torinesi, riuscendo a sopravvivere fino a oggi.
L’isolamento della famiglia è bruscamente interrotto dal transito di un’automobile sulla Provinciale che serpeggia a fondo valle. Purtroppo la macchina, la prima a percorrere quella strada da mesi, termina la propria corsa contro una cabina elettrica nel centro del paese. All’interno dell’abitacolo una giovane donna è in travaglio e in procinto di dare alla luce il proprio figlio. Accorso sul posto per controllare, Domenico è riluttante, ma alla fine l’aiuta a partorire mentre Sebastiano abbatte gli zombie radunatisi lì intorno.
La situazione precipita, e la donna strappa a Domenico una scomoda promessa che lo costringe a recarsi presso l’ex distretto militare di Torino.
Appena padre e figlio tornano a casa, s’innesca un’accesa discussione: rischiare la vita mantenendo la parola data o dimenticarsi dell’intera vicenda? Lucrezia e Sebastiano la spuntano, convincendo Domenico a recarsi in città nonostante quest’ultimo sia convinto che la scelta corrisponda a un vero e proprio suicidio.
Il percorso che dalla periferia porta la famiglia sino alla Caserma è un viaggio nel passato. Le vie sono irriconoscibili e dense di pericoli mortali.
Entrati in contatto con altri sopravvissuti i protagonisti scoprono che molti sono regrediti, perdendo umanità ed empatia, mentre altri hanno fatto della parola comunità il proprio credo.
Giunti al Distretto la famiglia viene trattata con sospetto, soprattutto quando tutti i suoi membri rimangono bloccati a causa d’uno sciame di migliaia di zombie di passaggio in città.
I militari delimitano una linea di difesa e ingaggiano i mostri. La battaglia è brutale e a lungo incerta, ma i non-morti sono troppi e il fronte rischia di cedere.
Poco prima che gli zombie riescano a espugnare la Caserma arriva la cavalleria che, dotata di un’enorme potenza di fuoco, rovescia le sorti della battaglia.
Domenico, Lucrezia e Sebastiano approfittano della confusione del combattimento per tentare la fuga, ma le cose non vanno come le avevano pianificate.
Risponderei che sono un lettore con la passione per la scrittura, vecchio d’anagrafe ma ancora bambino dentro.
Come nasce la tua esperienza nella scrittura e dunque nella pubblicazione?
Come tutte le cose belle della vita la scrittura nasce un po’ per caso e con molta fortuna. Stavo attraversando un periodo personale complicato: leggevo molto, moltissimo, e mi ero fissato sul genere zombie. Nel giro di qualche settimana avevo finito i grandi classici ed ero passato agli autori meno conosciuti, per poi arrivare a romanzi e racconti che il grande pubblico non avrebbe mai letto. Ne terminai uno davvero scadente. Trama approssimativa e stile sciatto, per non dire di peggio. Ricordo che pensai: “Saprei scrivere di meglio”. Ecco, partì così. Il giorno seguente scrissi l’incipit di ZETAFOBIA e da allora non mi sono più fermato.
Perché le persone dovrebbero scegliere proprio la tua penna?
Ci sono moltissimi autori italiani di grande talento che scalpitano per farsi conoscere. Non spetta a me dire se appartengo a questo gruppo, non posso giudicare me stesso, né posso valutare il mio talento. Gli scaffali delle librerie sono pieni di autori stranieri, bravi – anzi ottimi – ma a tutti i lettori chiedo di dare una possibilità anche a noi… anche a me. Leggeteci e leggetemi, poi valutate con onestà se davvero siamo così indietro rispetto ai nostri colleghi d’oltreoceano.
Qualche anno fa nelle classifiche dei thriller spadroneggiavano i mostri sacri di tradizione americana. C’è voluto del tempo ma a guardare le stesse classifiche, oggi, i nomi degli scrittori italiani svettano nelle primissime posizioni. Date un’opportunità a chi come me scrive per passione, potreste scoprire un nuovo mondo di letture.
Come definiresti il tuo stile?
Direi piuttosto asciutto e diretto. Nella scrittura non amo perdermi troppo in descrizioni eccessivamente particolareggiate o in viaggi onirici infiniti. Qualche pennellata di colore per poter trascinare il lettore nel vivo della storia, quella sì, ci deve essere, ma punto moltissimo a far provare emozioni forti: se alla fine di una scena il lettore ha le lacrime agli occhi, è spaventato o arrabbiato, beh… vuol dire che sono riuscito nel mio intento.
Quali sono i progetti futuri?
In questo momento sto lavorando sull’ultimo romanzo della saga di ZETAFOBIA. Avevo sospeso durante la pausa natalizia per dedicarmi a un paio di racconti che non volevano saperne di aspettare pazientemente il loro turno, così li ho scritti entrambi e mi sono liberato la testa dalla loro ingombrante presenza. Inoltre sto partecipando a un prestigioso concorso letterario nazionale con un romanzo distopico, una sorta di visione prospettica e disagiata del futuro ambientato qualche anno dopo la fine della pandemia da COVID-19.
Amore e odio, come tutti, credo. I social media sono importanti, soprattutto per farsi conoscere e per far conoscere i propri scritti ai potenziali lettori. Oltre a questo devo dire che nel corso degli anni ho avuto l’occasione di costruire alcune conoscenze che superano il mero rapporto digitale consentito dai social, e di questo sono felice, però bisogna sempre fare attenzione a non confondere ciò che accade su internet con la vita, quella vera intendo.
“Liebermann faticava a vincere i morsi dello stomaco, ma parimenti non riusciva a capacitarsi di quanto aveva letto.E non era che l’inizio!Certo, era perfettamente consapevole, come Feuerbach aveva cinicamente osservato, che l’amore non cresceva sugli alberi; maquello non era odio, disprezzo, perché anche in essi esisteva unasorta di attrazione e di rispetto”.
Francesco Bonvicini torna con il nuovo capitolo della sua saga poliziesca ambientata tra le strade di Colonia: Sangue sulla Croce, edito come sempre da Pegasus. Questa volta, il sempre presente commissario di polizia Alois Liebermann e la sua squadra dovranno sbrogliare un caso che ha improvvisamente inondato di sangue la casa del Signore. L’assassinio di una suora darà inizio alle indagini – ma anche al ritrovamento di nuovi morti – riportando a galla una vecchia quanto sporca faccenda avvenuta in Sudamerica, che avrebbe coinvolto alcune figure della chiesa di Colonia. Per Liebermann, cresciuto come ben sappiamo tra le mura del convento di Sankt Alois, non sarà facile dipanare la matassa capitata improvvisamente tra le sue mani. Da un lato, il suo dovere di poliziotto che lo esorta a trovare l’omicida, con l’aiuto di vecchie e nuove facce; dall’altro, il timore di scoprire troppi sporchi segreti legati alla sua chiesa, al luogo e all’ordine che lo hanno accolto fin dalla nascita facendo di lui l’uomo che vede ogni mattina allo specchio.
In un articolato susseguirsi di eventi tra le strade di Colonia e di Malta si annidano l’energia e la conoscenza dell’autore su questo “mondo”, che ce lo presenta come sempre arricchito di accurate descrizioni delle strade e dei luoghi a cui è legato. Ancora una volta sembra davvero di muoversi tra le vie di Colonia a bordo delle auto guidate dalla Squadra Omicidi di Liebermann, coinvolgendoci in questo caso tanto quanto loro. Questo e molto altro fanno di Sangue sulla Croce un nuovo brillante capitolo di una saga che non cessa di stupirci con i suoi contenuti.
Come nasce questo libro?
Beh, siamo giunti al quinto capitolo della saga “Sangue su Colonia” e quindi volevo aggiungere un nuovo tassello alle storie mano a mano raccontate. Il risultato è un romanzo crudo, a tinte forti, diverso dai precedenti ma non per questo, mi auguro, meno appassionante. In fondo, quando si ritorna ad occuparci di ambientazioni e personaggi ormai divenuti familiari, è un po’ come tornare a casa.
Quale messaggio vuoi trasmettere?
I miei romanzi, in genere, a una prima lettura possono trasudare pessimismo, negatività ma, forse, è proprio partendo da questi aspetti che si deve combattere per portare, al contrario, positività, serenità, speranza. In fondo, se il delitto è il buio, la sua soluzione è la luce.
Leggi il mio libro perché…
Beh, come ho già accennato anche in altre occasioni, il bello della letteratura seriale è quello. Si può staccare per leggere qualcosa di diverso ma è la stessa cosa che viaggiare. Alla fine si torna a casa, perché ne senti nostalgia e hai bisogno di tirare il fiato. E tornare ad ambientazioni e personaggi già noti è la ricetta giusta, quella che manca ai romanzi e alle mode di oggi; le trilogie, per esempio.
Progetti futuri?
Lavoro a parte, sono su tre fronti: 1) Il sesto romanzo della saga, che s’intitolerà “Sangue su tela”; 2) Un racconto per il GialloFestival di quest’anno; 3) Un romanzo, staccato dalla mia saga, per il GialloFestival dell’anno prossimo o di quello ancora successivo.
Concludiamo?
La stessa di sempre, restate sintonizzati, bleiben sie dran!!!!
“Il 2020 è stato un po’ come quelle giornate che partono appunto storte e nulla riesce ad aggiustarle, come la fetta biscottata che cade sulla tovaglia al contrario e più cerchi di salvare il bianco, più diffondi la marmellata. Anche in quelle giornate, una piccola emozione può essere nascosta in una bustina di tè regalata per caso, in una cartolina senza francobollo e scritta a matita, oppure in un momento di fronte al lago in una giornata invernale umida e fredda”.
Bettina Delia Monticone sprigiona tutta la sua sensibilità e il suo talento in quest’opera autopubblicata: Sorridere con gli occhi, novella in undici atti che narra una varietà di vicende accomunate da un numero. Duemilaventi. Un anno che resterà per sempre legato a parole come “coronavirus”, “pandemia” e “lockdown”, durante il quale tutti noi abbiamo cercato di resistere, di adattarci e di andare avanti. Tra queste pagine troverete alcuni esempi: una serie di episodi molto attuali, caratterizzati da un’infinita varietà di elementi moderni di uso ormai comune – quali Whatsapp, i Kindle e lo smartworking – e accomunati dal duro periodo che stiamo vivendo tutt’ora.
Attraverso uno stile profondamente introspettivo e grande abilità nel narrare la quotidianità, il tutto condito con citazioni e vere parole dettate dal cuore, l’autrice ha saputo mettere su carta tutto questo in modo impeccabile, rendendo grandiose le “piccole” storie della gente che ci passa accanto ogni giorno, muovendosi in questa società che nel giro di un anno non è decisamente più la stessa.
Come nasce questo libro?
Avevo iniziato a scrivere il mio primo romanzo nel tempo fermo che avevo tra le mani, poi, ho avuto l’idea della Novella: era ottobre e sarebbe stato un inverno di regole e quarantena e solitudine, ancora.
Un sabato pomeriggio sono uscita per fare la spesa e, in realtà, per incontrare lì la mia amica: l’ho vista e nel suo entusiasmo, nella semplicità di un gesto di forte affetto in una settimana di nulla, ho visto tanta bellezza. Ho capito che avrei voluto parlarne, attraverso le persone e quello che possono dare, così ho iniziato a scrivere la Novella e presto ho avuto le idee chiare sulla struttura della narrazione.
Quale messaggio vuoi trasmettere?
Nella vita quotidiana siamo rapiti da molti impegni e spesso finiamo in un groviglio di pensieri e fatiche nelle quali ci siamo messi noi: il legame con certe persone e la sana voglia di leggersi dentro può salvarci da tutto.
È importante capire che alcune persone davvero riescono a toccarci, in un mondo in cui ci si sfiora soltanto.
Ed è importante trovare le proprie scintille, piccole cure di ogni giorno per stare bene.
Leggi il mio libro perché…
Troverai sensazioni che fanno parte anche di te, oppure ne hanno fatto parte, e troverai la voglia di cercare il lato più bello di ogni giornata e il modo di vivere senza macigni sul cuore anche nei periodi più spigolosi.
Progetti futuri?
Mettendomi alla prova, ho scoperto che scrivere mi piace molto ed è quasi un bisogno, un antidoto al resto.
Ho iniziato a farlo “seriamente” con l’obiettivo di migliorare ed evolvere: in questi mesi ho concluso un romanzo e quando sarà pronto ai miei occhi, vorrei pubblicarlo. Mi metto in discussione continuamente e la revisione è una fase lunga per me perché oltre la trama e il senso della storia do molto valore allo stile.
Intanto, sento di avere ancora idee e la voglia di dare vita ad altri romanzi, a nuove storie.
Sento di essere in un momento di cambiamento, uno di quegli attimi di vita in cui qualcosa di nuovo “sta per succedere” e voglio assaporarne ogni emozione. Ogni giorno si fanno delle scelte e voglio pensare che le mie mi porteranno in un bel posto, adatto a me.
“Siamo in un mondo ricco di informazioni scientifiche e abbiamo la tecnologia che fino a pochi decenni fa potevamo solo sognarla. Ma a livello spirituale siamo rimasti dei trogloditi. Siamo come un enorme gigante che usa solo la forza dei muscoli. La testa e il cuore dove li abbiamo lasciati?”
Stefania Cenci ci travolge con la sua dura realtà fin dalle prime pagine di Una voce particolare, sua opera autopubblicata che offre il suo contributo al collettivo grido di speranza contro l’ennesimo male dell’umanità. Protagonista è Paola, moglie e madre prigioniera di una doppia dipendenza dai cannabinoidi e dal cortisone (quest’ultima per combattere l’asma da cui è affetta); una combinazione pericolosa di sostanze che con il tempo arrivano a provocarle stati di allucinazione radicati alla sua passione per la musica. Così ecco che una “voce particolare” inizia a guidarla, a consigliarla, a spingerla su sentieri oscuri che la allontanano sempre più dal marito e la figlia. E quando il troppo stroppia – quando diventa evidente la causa di queste visioni – resta solo da fare la cosa giusta, pur difficile che sia: smettere.
Scorrevole nella lettura e dettagliato nei fatti, con una protagonista che entra nella storia con tutta la sua personalità, il carattere, il dolore, i sentimenti, la passione per la musica e per due cantautori in particolare. Una voce particolare si rivela una lettura a tratti dolorosa ma indispensabile per chi ricerca l’argomento della tossicodipendenza. Ricordando a tutti che esiste sempre una via d’uscita da questi tunnel.
Come nasce UNA VOCE PARTICOLARE?
Questo libro nasce da una travagliata autobiografia in cui ho estrapolato 14 anni e successivamente è nato un romanzo che è stato riassunto in 3. Scrivendo mi ero accorta che questa vicenda poteva essere interessante per capire il percorso psichiatrico che un paziente può avere, carico di sofferenze e a volte non se ne vuole sentire parlare perché vige ancora lo stigma di essere matti.
Quale messaggio vuoi trasmettere?
Voglio trasmettere al lettore, che sia paziente psichiatrico o meno, che un tratto di vita vissuta può essere di aiuto ad altri che soffrono più o meno degli stessi disturbi e quindi far capire le dinamiche che si instaurano nella famiglia ma anche nel paziente stesso.
Leggi il mio libro perché..
Perchè il lavoro interiore che si fa su se stessi è importante per crescere, leggere ha anche questo scopo e leggendo il mio libro si possono trarre spunti per una riflessione intenta a migliorare la propria vita.
Ho in progetto un altro libro, è ancora in cantiere e vorrei parlare di depressione stavolta, un disturbo che sta aumentando giorno per giorno.
Concludo dicendo che le autobiografie non sono molto gettonate ma, a parer mio, sono indispensabili per confrontarsi con la realtà. Si possono leggere milioni di romanzi ma si rischia di vivere una vita non propria con il rischio di perdersi in un’esistenza che non ci appartiene.
Leggere libri firmati #AutoriEmergenti è sempre una bella occasione per conoscere nuove realtà.
Ecco perché ho preparato un articolo di libri selezionati che vi consiglio caldamente.
Pronti?
Si parte!
“La banda del salame” di Luca Speciotti
In un mondo salutista e vegano, un bambino cerca i genitori scomparsi in circostanze misteriose. Chi lo aiuterà? Un professore, un prete o un pensionato tuttologo? Dovrà guardarsi dalla “Banda del Salame”, un’oscura organizzazione criminale che opera nel contrabbando dei salumi e degli insaccati. Riuscirà a ritrovare i genitori e a salvarsi?
Un’avventura mozzafiato che, dalle spiagge di Cesenatico porterà le due protagoniste sulle Dolomiti alla ricerca del misterioso e leggendario Regno dei Fanes, popolo che, secondo il mito, sarebbe vissuto sulle tra il Cadore e la Val Pusteria a cavallo tra l’Età del Bronzo e quella del Ferro.
“Prima si arrabattavano a fare andare alla meno peggio quel matrimonio, ancora dentro di loro permaneva un’eco sbiadita dell’amore che li aveva uniti…ma quella sera ci fu il trionfo del rancore e, quando il rancore trionfa, l’amore fugge!”
La vicenda di un gruppo di impiegati presso un ufficio postale di Angers tra il 1967 e il 1968, narrata da un “personaggio” molto particolare: la Stanza 7, alias Ufficio Lettere Perdute, dove lavorano questi impiegati allo scopo di consegnare lettere prive di mittente o destinatario.
Tra indagini, sospettati e ricerche percorriamo ancora una volta la città di Colonia e zone limitrofe, accompagnando i solerti protagonisti mentre svolgono il loro lavoro.
«Un momento!» protestò, sputando la neve sporca che gli era entrata in bocca «Sono anch’io un poliziotto.»
La biondina rinfoderò la pistola e consentì a Lamprecht di rialzarsi solo quando, a sua volta, le mostrò il tesserino di riconoscimento.
«Potevi dirmi subito che eri un collega! Ma non mi aspettavo certo che ti comportassi come un maiale!»
“Le domande erano sempre le stesse, esattamente come un anno prima, come l’ultimo pomeriggio trascorso nel suo amato parco vicino a casa. Le stesse, identiche domande, dopo più di un anno ancora senza la benché minima risposta. E con ogni sforzo aveva provato a dimenticare, a non temerne il ritorno, o anche soltanto la paura ad esso legata, ma dannazione, tutto era tornato. Tutto quanto”.
Paure, tormenti, dubbi, sogni e speranze vorticano a lungo nella testa di Allison, protagonista di quest’opera autopubblicata di Valentine Shanti: Il colore delle foglie d’autunno.Sogni e speranze la spingono soprattutto a fuggire dalla casa del padre oppressore, ricco avvocato di successo che vorrebbe plasmare il suo futuro in ogni singolo aspetto. Così, armandosi di coraggio e qualche risorsa, spezza le catene di quella vita opprimente e intraprende un lungo viaggio che la conduce fino in Vermont. L’incontro con l’anziana ed eccentrica Emily le assicurerà un lavoro come erborista. Un nuovo inizio, dunque una nuova vita… ma le ombre del passato non si lasciano alle spalle così facilmente; e mentre l’odiato padre si ostina a darle la caccia per riportarla a casa, Allison dovrà fare i conti con una nuova minaccia, ben più oscura e inquietante, in agguato nel profondo dei suoi incubi e in attesa di colpire.
Ricordi, stati d’animo e introspezioni padroneggiano questo romanzo in modo brillante; nonostante il notevole numero di pagine si rivela scorrevole e lo leggiamo velocemente, trasportati da una curiosità crescente nei confronti di questa giovane, nella sua costante ricerca della libertà, senza mai arrendersi al vortice di oscurità che infuria nell’ambiente in cui è cresciuta. Libertà di vivere secondo i propri desideri: dovremmo averla tutti, in fondo, e l’autrice si rivela abile nel ricordarcelo attraverso queste pagine ricche di verità.
Come nasce questo libro?
Devo dire che sin da bambina le storie nei libri hanno rappresentato il mio passatempo preferito; insieme ai diversi personaggi vivevo avventure, emozioni, difficoltà. Mi tenevano compagnia, e grazie a penne autorevoli sono cresciuta imparando che la vita può essere vista e vissuta da punti di vista molto diversi tra loro ma ugualmente interessanti. E questo, perché forse dobbiamo sempre cercare la via di mezzo, l’equilibrio in ogni occasione che la vita ci pone dinnanzi. L’idea vera e propria di questo libro è nata quando ho deciso che dopo aver letto tante storie era venuto il momento di impegnarmi a scriverne una tutta mia. Ci ho messo tantissimo tempo perché era appena nato mio figlio e scrivevo praticamente solo di notte. Ma nonostante la stanchezza, che ricordo molto bene, rifarei ogni cosa.
Quale messaggio vuoi trasmettere?
Sicuramente che i figli non ci appartengono solo perché in quanto genitori abbiamo dato loro la vita. Per quanto difficile sia da ammettere, un figlio è una persona a sé, non un’estensione di chi l’ha messo al mondo. È questo il dolore più grande che la mia protagonista porta nel cuore, il fatto di non essersi mai sentita compresa nella sua natura così differente da quella del padre. Di essere cresciuta senza essersi mai sentita ascoltata.
E come secondo messaggio direi che per il tanto male fatto ad altri non c’è passato che tenga. Riuscirà sempre a tornare indietro e a riscuotere il prezzo dovuto.
Leggi il mio libro perché…
Perché l’ho scritto con il cuore, davvero. È una storia lunga perché ho desiderato intenderla come un viaggio in cui accompagnare il lettore alla conoscenza dei pensieri e delle emozioni che ogni personaggio vive. Se osservato con attenzione, anche chi appare estremamente negativo è, in fondo, semplicemente una persona che ha sofferto in passato. Non tutti però hanno la forza di trasformare la sofferenza in qualcosa di luminoso.
Progetti futuri?
Per il momento devo ammettere di non averne. Ma credo anche che l’ispirazione sia a noi più vicina di quanto pensiamo; è solo che a volte non si riesce a sentirla.